I recenti The Tangent guidati dall'eclettica mente di Andy Tillison, giungono a quota sei studio album pubblicando “Comm”, un lungo concept di cinque brani - di cui due suite - incentrato sulla comunicazione, un argomento di peso che negli ultimi anni sta diventando sempre più questione fondamentale a livello tecnologico, tanto da essere per molti quasi una sorta di ossessionante chiodo fisso.
La cover scelta per il sesto full length a tal proposito è piuttosto esplicita: un uomo che guarda attraverso una finestra il mondo davanti ad essa, con in primo piano una gigantesca parabola. Simbologie che testimoniano quanto i mezzi di comunicazione e la loro influenza saranno sempre più importanti nel nostro futuro.
La band nata quasi dieci anni fa dopo aver esordito con "The Music That Died Alone" (2003) ha iniziato la propria scalata verso la vetta incontrando non poche difficoltà anche dal punto di vista della compattezza: la line up, infatti, ha più volte subito diverse variazioni nel corso del tempo. Nonostante ciò, a distanza di due anni dal precedente “Down and Out in Paris and London” (2009), la squadra di Andy riesce nell'impresa di creare ancora una volta un'opera che volge lo sguardo al passato in modo elegante ed avvolgente.
La band nata quasi dieci anni fa dopo aver esordito con "The Music That Died Alone" (2003) ha iniziato la propria scalata verso la vetta incontrando non poche difficoltà anche dal punto di vista della compattezza: la line up, infatti, ha più volte subito diverse variazioni nel corso del tempo. Nonostante ciò, a distanza di due anni dal precedente “Down and Out in Paris and London” (2009), la squadra di Andy riesce nell'impresa di creare ancora una volta un'opera che volge lo sguardo al passato in modo elegante ed avvolgente.
L'album in se, è la classica fusione di diversi sound che ben si amalgamano tra di loro: aspetto rilevabile sin dal primo brano “The Wiki Man” che, nonostante appaia come estremamente derivativo dal progressive rock anni settanta/ottanta (Rush), mostra un mix di suoni debitori oltre che al prog rock, anche all'electro, fino ad arrivare al jazz, con una componente strumentale in primo piano rispetto alle lyric.
Una suite elaborata e non immediata come potrebbe sembrare, piuttosto fantasiosa ed articolata, in cui più tracce prive di voce si intrecciano magicamente in una serie di note prog missate insieme a tratti electro: dopo una breve sezione dominata da un cantato pulito quasi solenne, il gruppo torna poi a scorrere sullo spartito, dando il via ad un nuovo movimento in cui le veloci dita di Tillson corrono sulla tastiera in un passo jazz, preludio alla parte finale ove viene ripreso il tratto melodico con cui la canzone s'era aperta. Venti minuti di follie sonore.“The Mind's Eye” si sposta invece su di un più incalzante e diretto riff, proponendo un crescendo vertiginoso che sfocia in un'orgia di progressive - jazz frammentata da sottili sussurri cantati, utili nel rendere il pezzo più allucinato e sconvolto.
Il giro di boa è marcato da un lento sensuale ed intrigante, che nella semplicità del caso trova spazio in note melodiche dal vecchio stampo “pinkfloidiano” (“Shoot Them Down”). Un episodio nostalgico che comunque si manifesta in un clima sereno.
Un allegro organetto ci introduce quindi in una scia di note che abbracciano la quarta traccia “Tech Support Guy”: insieme ad un simpatico flauto ci conduce in una vorticosa danza, in netta antitesi con il lento poc’anzi ascoltato.
Il cerchio infine si chiude con una seconda ed immensa suite, di carattere per lo più mistico, ma nella quale spiccano alcuni spunti aggressivi centrali: un nuovo turbine di suoni e note di carattere progressive misto al jazz che, come una folata di vento, passa portando via con se le foglie lungo il sentiero della tracklist. Ecco “Titanic Calls Carpathia”.
Un album questo "Comm", a suo modo orecchiabile, ottimo al fine di mettere in mostra tutta la straordinaria tecnica in possesso della band.
In alcuni brani forse il songwriting tuttavia andrebbe rivisto: pochissima originalità, tanti equilibrismi ed un continuo tuffo al passato che si rivela incapace di apportare nuovo combustibile alla causa del progressive rock, pur se disseminato di elementi e particolari comunque pregevoli.
Un disco come di consueto probabilmente non facile da assimilare, al quale, come sempre, andranno garantiti un buon numero di ascolti al fine di apprezzarne appieno il valore in ogni caso più che discreto.
Una suite elaborata e non immediata come potrebbe sembrare, piuttosto fantasiosa ed articolata, in cui più tracce prive di voce si intrecciano magicamente in una serie di note prog missate insieme a tratti electro: dopo una breve sezione dominata da un cantato pulito quasi solenne, il gruppo torna poi a scorrere sullo spartito, dando il via ad un nuovo movimento in cui le veloci dita di Tillson corrono sulla tastiera in un passo jazz, preludio alla parte finale ove viene ripreso il tratto melodico con cui la canzone s'era aperta. Venti minuti di follie sonore.“The Mind's Eye” si sposta invece su di un più incalzante e diretto riff, proponendo un crescendo vertiginoso che sfocia in un'orgia di progressive - jazz frammentata da sottili sussurri cantati, utili nel rendere il pezzo più allucinato e sconvolto.
Il giro di boa è marcato da un lento sensuale ed intrigante, che nella semplicità del caso trova spazio in note melodiche dal vecchio stampo “pinkfloidiano” (“Shoot Them Down”). Un episodio nostalgico che comunque si manifesta in un clima sereno.
Un allegro organetto ci introduce quindi in una scia di note che abbracciano la quarta traccia “Tech Support Guy”: insieme ad un simpatico flauto ci conduce in una vorticosa danza, in netta antitesi con il lento poc’anzi ascoltato.
Il cerchio infine si chiude con una seconda ed immensa suite, di carattere per lo più mistico, ma nella quale spiccano alcuni spunti aggressivi centrali: un nuovo turbine di suoni e note di carattere progressive misto al jazz che, come una folata di vento, passa portando via con se le foglie lungo il sentiero della tracklist. Ecco “Titanic Calls Carpathia”.
Un album questo "Comm", a suo modo orecchiabile, ottimo al fine di mettere in mostra tutta la straordinaria tecnica in possesso della band.
In alcuni brani forse il songwriting tuttavia andrebbe rivisto: pochissima originalità, tanti equilibrismi ed un continuo tuffo al passato che si rivela incapace di apportare nuovo combustibile alla causa del progressive rock, pur se disseminato di elementi e particolari comunque pregevoli.
Un disco come di consueto probabilmente non facile da assimilare, al quale, come sempre, andranno garantiti un buon numero di ascolti al fine di apprezzarne appieno il valore in ogni caso più che discreto.
Line Up:
Andy Tillison - Tastiere e voce
Dan Mash - Basso
Luke Machin - Chitarra e voce
Theo Travis - Sassofono e flauto
Tony Latham - BatteriaTracklist:
1. The Wiki Man (20:14)
I. Prologue
II. The Wiki Man
III. Competition Watershed
IV. Edit Me Out
V. Car Boot Sale
VI. The Wiki Man Reprise
2. The Mind's Eye (08:13)
3. Shoot Them Down (06:45)
4. Tech Support Guy (05:51)
5. Titanic Calls Carpathia (16:36)
I. The Millpond
II. Titanic Calls Carpathia
III. Lovell Calls Houston
IV. A Lost Soul Calls Antares
V. Fire in Our Fingers
VI. Earth Calling Anyone
Andy Tillison - Tastiere e voce
Dan Mash - Basso
Luke Machin - Chitarra e voce
Theo Travis - Sassofono e flauto
Tony Latham - BatteriaTracklist:
1. The Wiki Man (20:14)
I. Prologue
II. The Wiki Man
III. Competition Watershed
IV. Edit Me Out
V. Car Boot Sale
VI. The Wiki Man Reprise
2. The Mind's Eye (08:13)
3. Shoot Them Down (06:45)
4. Tech Support Guy (05:51)
5. Titanic Calls Carpathia (16:36)
I. The Millpond
II. Titanic Calls Carpathia
III. Lovell Calls Houston
IV. A Lost Soul Calls Antares
V. Fire in Our Fingers
VI. Earth Calling Anyone
VOTO 72
Album pubblicato il 2011
Etichetta: Inside Out
Genere: Prog Rock
Pubblicata su http://truemetal.it/ in data: 20/11/2011 link di riferimento http://www.truemetal.it/reviews.php?op=albumreview&id=10276
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