Nati in quel del milanese, i Codename: Delirious sono una formazione autodefinitasi Dubmetal/Metalstep, composta attualmente da Omar Petrucci (voce) Dario Frascati (chitarra), Marco Catanzaro (basso), Cristiano Rivera (batteria) e Luca De Vecchi (consolle).
L'autodefinizione dei Nostri è discretamente relativamente corretta, infatti dopo ben un lustro di esperimenti musicali atti a intrecciare sonorità tipicamente metalcore, dubstep ed elettronica in generale, non ci si poteva aspettare nulla di diverso da un debut come The Great Heartless, arrivato ad Ottobre 2018 su Agoge Records, per la quale i deliranti meneghini hanno firmato appena qualche mese prima, che lo si potrebbe definire un vagone di cattiveria stilosa.
Ad aprire le danze ci pensa l'intro nu elettronica di Act so Tough, frammentata da scream a dir poco ruvidi e caratterizzata da buoni intrecci di chitarra ed elettronica, anche se un tantino sporcati; sporcizia lavata via dall'introduzione melodica della seguente Ryo Leon che riprende tuttavia il mood della precedente, enfatizzando gli intrecci delle linee vocali, chiudendo con un magistrale fade out abbastanza elegante.
Al terzo gradino della scaletta troviamo Dr. Braun, uno dei primi singoli rilasciati dalla band e maturato decisamente bene, l'atmosfera in apertura è pressoché palpabile ed il pezzo decisamente più cupo e graffiante dei precedenti. Solleva un pochino il clima la più orecchiabile, ma sempre molto ombrosa Chissà, nella quale guizzano influenze drone e rap nella seconda metà.
Al giro di boa troviamo Lost at Sea, caratterizzata da un'intro in lieve crescendo e vocals a dir poco incazzose, rallentando decisamente nella seconda metà e godendo di una buona sessione strumentale altalenante; eleganza spazzata via dall'intro della rabbiosissima Love Song, titolo ingannevole - mica male come trappola! - di uno dei brani più ruvidi dell'intero lotto di quelli che lasciano il segno un po' come l'amore fa con ciascuno di noi, caratterizzato da tanta tanta elettronica ed una seconda parte di stampo rapcore che neanche i Body Count.
La tripletta finale si pone come summa di quanto proposto in precedenza, a cominciare dall'intro melodica e dal volgere furioso di Worst of Me, alla più tenebrosa He Gotta Know the Name, nella quale fa da contrasto quasi perfetto un refrain un tantino melodico senza diventar troppo melenso, mentre a chiudere troviamo Bridge over Alpha-Z dall'attacco esplosivo, in un mix di rapcore e goa, specie nella parte centrale.
Inutile dire che amanti di sound più classici troveranno parecchio da ridire su un uso così copioso di elettronica, certo è, tuttavia che gli esperimenti son sempre i benvenuti; talvolta riescono bene, talvolta no, fortunatamente a questo giro ci troviamo nel primo caso.
Certamente un sound più diretto non sarebbe male, ma probabilmente i ragazzi stanno ancora alla messa a punto, diamogli tempo!
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