Avevano portato con se la donna della mia vita già da
alcune ore. Io ero caduto in uno stato catatonico e vegetativo, guardavo il
nulla e nel mentre ripensavo ai bei momenti trascorsi con Amber, momenti andati
per sempre e che avrei dovuto conservare preziosi nella mia mente. Ripensai alla
luna di miele che facemmo su quell’isola tropicale coi risparmi messi da parte,
ripensai alla nostra prima volta insieme ed a come c’eravamo conosciuti.
Jack ed i suoi figli mi stavano vicini nel vano tentativo di farmi riprendere, ma per me ormai nulla aveva più importanza, anche il terremoto che avrebbe cambiato per sempre le nostre vite aveva ben minima importanza a confronto. Come una tenaglia invisibile, il dolore mi stava schiacciando le budella.
La giornata avanzava lenta, era ormai metà pomeriggio ed il sole cominciava a tingersi di rosso. Al calar della sera ripensai a quello sguardo freddo e vitreo che mi puntava da dentro al sacco degli agenti. Uno sguardo irreale, privo di vita ed allo stesso tempo non morto, come se qualcosa di inumano fosse dentro il corpo di mia moglie e stesse osservando per la prima volta un essere umano. Non può essere, non era lo sguardo di mia moglie; pensai, è morta eppure quello sguardo non era morto, ne sono sicuro!
Calò la sera sul campo d’accoglienza ed alcuni addetti giravano per il dedalo di tende per controllare che stessimo tutti bene e che avessimo il necessario per fronteggiare la notte…”
BANG! Uno sparo interruppe il mio racconto.
La ragazza uscì dalla tenda, mentre io, sentendo lo sparo, d’istinto tentai di allungarmi a prendere le mie armi ma il dolore al fianco fu tale che iniziarono a pulsarmi le tempie e mi si annebbiò la vista.
“CHE SUCCEDE PAPA’?” chiese lei a qualcuno li fuori.
“NIENTE DI PARTICOLARE, NICOLE, UNO DI QUESTI FIGLI DI PUTTANA SI E’ AVVICINATO TROPPO!” disse una voce tonante e profonda.
Lei tornò nella tenda di corsa. Il suo sorriso luminoso era scomparso e lei s’era incupita di colpo. “Si stanno avvicinando alla tenda, non mi piace, se hanno capito che siamo qui dovremo spostarci ed anche di fretta!”
“Vi darò una mano a difendere la posizione finché non sarete pronti alla partenza…” mentre dicevo quelle parole, lei poggiò pesantemente l’indice sinistro sul fianco ferito, ed io gridai di dolore. “MA CHE CAZZO FAI SEI IMPAZZITA?”
“Come puoi darci una mano? Non puoi nemmeno reggerti in piedi, rischieresti che le costole forino qualche organo!” disse lei con aria seria. Sospirò: “Bene, dov’eri rimasto?” le era tornato il sorriso, anche se un po’ sforzato.
“Alla prima notte dopo il terremoto… quella notte né io né Jack toccammo cibo. I suoi figli ebbero comunque la forza per mangiare, probabilmente la loro giovane età non aveva fatto loro intuire a pieno la gravità della situazione. Sul campo si respirava un’aria pesante di tensione, nessuno era tranquillo. Finché un odore stranamente acre si stava lentamente spargendo per tutto il bivacco. Dalle sommità a nord del campo, dov’erano stati portati i corpi dei defunti dentro alle sacche nere, si sentirono delle grida strazianti e degli spari squarciarono la notte.
“CHE DIAVOLO SUCCEDE ANCORA?!” dissi. L’incubo era appena iniziato.
Jack ed i suoi figli mi stavano vicini nel vano tentativo di farmi riprendere, ma per me ormai nulla aveva più importanza, anche il terremoto che avrebbe cambiato per sempre le nostre vite aveva ben minima importanza a confronto. Come una tenaglia invisibile, il dolore mi stava schiacciando le budella.
La giornata avanzava lenta, era ormai metà pomeriggio ed il sole cominciava a tingersi di rosso. Al calar della sera ripensai a quello sguardo freddo e vitreo che mi puntava da dentro al sacco degli agenti. Uno sguardo irreale, privo di vita ed allo stesso tempo non morto, come se qualcosa di inumano fosse dentro il corpo di mia moglie e stesse osservando per la prima volta un essere umano. Non può essere, non era lo sguardo di mia moglie; pensai, è morta eppure quello sguardo non era morto, ne sono sicuro!
Calò la sera sul campo d’accoglienza ed alcuni addetti giravano per il dedalo di tende per controllare che stessimo tutti bene e che avessimo il necessario per fronteggiare la notte…”
BANG! Uno sparo interruppe il mio racconto.
La ragazza uscì dalla tenda, mentre io, sentendo lo sparo, d’istinto tentai di allungarmi a prendere le mie armi ma il dolore al fianco fu tale che iniziarono a pulsarmi le tempie e mi si annebbiò la vista.
“CHE SUCCEDE PAPA’?” chiese lei a qualcuno li fuori.
“NIENTE DI PARTICOLARE, NICOLE, UNO DI QUESTI FIGLI DI PUTTANA SI E’ AVVICINATO TROPPO!” disse una voce tonante e profonda.
Lei tornò nella tenda di corsa. Il suo sorriso luminoso era scomparso e lei s’era incupita di colpo. “Si stanno avvicinando alla tenda, non mi piace, se hanno capito che siamo qui dovremo spostarci ed anche di fretta!”
“Vi darò una mano a difendere la posizione finché non sarete pronti alla partenza…” mentre dicevo quelle parole, lei poggiò pesantemente l’indice sinistro sul fianco ferito, ed io gridai di dolore. “MA CHE CAZZO FAI SEI IMPAZZITA?”
“Come puoi darci una mano? Non puoi nemmeno reggerti in piedi, rischieresti che le costole forino qualche organo!” disse lei con aria seria. Sospirò: “Bene, dov’eri rimasto?” le era tornato il sorriso, anche se un po’ sforzato.
“Alla prima notte dopo il terremoto… quella notte né io né Jack toccammo cibo. I suoi figli ebbero comunque la forza per mangiare, probabilmente la loro giovane età non aveva fatto loro intuire a pieno la gravità della situazione. Sul campo si respirava un’aria pesante di tensione, nessuno era tranquillo. Finché un odore stranamente acre si stava lentamente spargendo per tutto il bivacco. Dalle sommità a nord del campo, dov’erano stati portati i corpi dei defunti dentro alle sacche nere, si sentirono delle grida strazianti e degli spari squarciarono la notte.
“CHE DIAVOLO SUCCEDE ANCORA?!” dissi. L’incubo era appena iniziato.
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