martedì 29 maggio 2012

DEATHQUAKE: CHAPTER 2.1 UNDEAD VISIONS


Il rumore andava via via aumentando, raggelando il sangue di tutti. Il panico dei presenti aumentava  e la folla si schiacciava nella nostra direzione, allontanandosi dal punto in cui tutto stava cominciando a prendere forma. L’incubo che tutt’oggi viviamo. Non capivamo che stesse succedendo, io e Jack ci guardammo l’un l’altro, l’unica cosa che avevamo intuito era che quel posto da campo d’accoglienza stava per trasformarsi in un posto spaventoso. L’adrenalina iniziava a scorrere nelle nostre vene, tuttavia facevamo tutto il possibile per non farci vincere dall’agitazione. Le grida risuonavano vivide nelle nostre teste. Grida sempre più forti e vicine. D’istinto presi il figlio maggiore di Jack in braccio. “Credo sia meglio andarsene prima che arrivi qui!”
Ma non sappiamo nemmeno che stia succedendo!” disse Jack preoccupato.
Vero, non lo sappiamo, ma francamente non starò qui ad aspettare che qualunque cosa sia, venga a prenderci!” ribattei. Mi guardò negli occhi nuovamente, sapeva che avevo ragione, ma una parte di lui voleva sapere cosa stava succedendo effettivamente. Anch’io volevo vedere che stava succedendo, ma l’istinto mi stava spingendo verso la fuga.
I secondi passavano lenti quanto ore e la folla continuava a muoversi sempre più pressantemente nella nostra direzione. Jack si decise, tenne stretta la figlia ed iniziò a correre verso l’uscita del campo. Mura di persone si stagliarono davanti a noi, persone spaventate che avevano avuto la nostra stessa idea si stavano dirigendo verso l’uscita prima che il peggio giungesse. Un altro sparo, stavolta più vicino e nitido. “Indietro, state indietro!” un grido pericolosamente vicino seguito da un altro colpo, si stagliò su di noi. “AAAAAH!” un grido straziante.
Figure lente si intravvedevano al di la della montagna di persone che correvano verso di noi. Troppo buio per vedere cosa fossero o chi fossero, sta di fatto che i poliziotti presenti stavano puntando le armi contro di loro e stavano sparando come potevano per cercare di abbatterli. Da uno sparo si diramò una raffica di proiettili contro quegli esseri, mentre tutti noi stavamo uscendo per cercare di evitare il peggio. Io ero fuori, mancava Jack. Mi fermai e mi guardai indietro. Il frastuono s'era fatto assordante, c'eravamo finiti in mezzo invece di essere fuggiti! Jack mi fece segno di fuggire, che ci saremmo rivisti. Non volevo lasciarlo solo, come non volevo dividere lui da suo figlio; ma non avevo altra scelta. Fu allora che qualcosa mi afferrò una caviglia. Guardai in basso e vidi una mano. Seguendo l'arto pallidamente illuminato dalla luce artificiale, vidi che era attaccato ad un uomo. Questi non sembrava morto, tuttavia non sembrava nemmeno vivo, si dimenava lentamente verso di me, facendo perno sul braccio con cui s'era aggrappato. Lo squadrai lentamente e vidi che era rimasto senza gli arti inferiori. Con lembi di carne gocciolanti dalla vita in giù, quell'essere ripugnante mi fissava il polpaccio con occhi vitrei, gli stessi con cui mi aveva guardato Amber quando era stata chiusa nel sacco nero. Tentai di ritrarre il piede, ma la forza della sua presa era innaturale, non mi faceva male, tuttavia sembrava come saldamente legato ed intenzionato a raggiungermi. Il figlio di Jack in braccio a me gridava come un ossesso, mentre io strattonavo nel tentativo che quella cosa mi lasciasse andare. Presi un bastone li per terra e colpii con forza la mano di quell'abominio. Nulla da fare. Riprovai. Ancora niente. Provai a mirare alla testa, un colpo secco e deciso. Qualcosa accadde. Il colpo fu molto forte e la creatura, appena subito, lasciò la presa e si accasciò al suolo. La testa era il loro punto debole. Ma come dirlo agli altri? Non mi restava altro da fare che tentare di trovare una via di fuga o sapevo che in quel campo d'accoglienza ci sarei morto. Corremmo senza meta lungo la parte esterna, finché in lontananza scorsi la forma di una macchina.
Un paio di quegli esseri erano davanti a me, la folla si era sparpagliata ormai ed ognuno pensava a se. Muovendomi rapidamente a zig zag tra i due burattini di carne, arrivai rapidamente alla macchina. I due si girarono lentamente e volsero il proprio sguardo morto verso di noi, uno alto e magro, con la faccia squarciata; l'altro leggermente più basso ma con due spalle imponenti che ormai non riuscivano più a stare dritte, lasciando scorrere due braccia imponenti lungo i fianchi del mostro.
Aperta in fretta e furia la macchina, tirai giù Samuel, il figlio di Jack, dalle mie spalle e, dopo averlo spinto dentro mi feci spazio. Un'utilitaria, quanto bastava per una fuga. Tastai con le mani fino ad arrivare dove, per nostra grande fortuna, le chiavi penzolavano dal cruscotto. Girai la chiave e la macchina si accese al primo colpo, mostrando un serbatoio pieno a tre quarti. Guardai in direzione del campo d'accoglienza. Mentre aspettavo a partire, i due si avvicinavano. Attesi ancora. Un altro paio di creature non-morte arrivarono da dietro la macchina, appena le vidi sussultai. Erano troppo vicini. Ingranai la marcia e partii a tutto gas lungo la strada, pensando unicamente ad allontanarmi il più possibile da quel posto orribile.

Di Alex Govoni.
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