giovedì 24 maggio 2012

DEATHQUAKE: CHAPTER 1.3 THE BEGINNING


Le ore passavano lente nel campo allestito alla meglio, tutti facevano qualcosa per rendersi utili mentre le forze dell'ordine tentavano di calmare gli animi ove servisse il loro intervento, mentre i soccorsi tentavano di scavare con ogni mezzo ed il più in fretta possibile nei cumuli polverosi di macerie, per estrarre eventuali superstiti o vittime del disastro appena accaduto.
Assicuratomi che Amber, mia moglie, stesse bene, iniziai a cercare le cose di cui avevamo più bisogno al momento, qualche vestito ed un po' d'acqua per riprenderci dallo spavento. Un banchetto non molto lontano dal punto dove c'eravamo sistemati, fortunatamente, forniva alcune coperte; mentre uno poco distante distribuiva bottiglie d'acqua.
Jack continuava a stringere il figlio maggiore, mentre con una smorfia in un misto tra rabbia e dolore guardava in direzione della propria abitazione, da cui si vedeva solamente una colonna di fumo, probabilmente alzata dagli operatori dei soccorsi nello scavo.
Un'altra scossa, più forte di quella che udimmo precedentemente, fece sussultare tutti quanti, alcune tende caddero su se stesse, mentre in lontananza si udì il fragore di altri crolli. Grida di spavento si spandevano per tutto il campo e la gente correva a destra e a manca.
Io corsi nuovamente da Amber, stringendo a me la sola coperta appena recuperata e facendomi largo in mezzo alla gente. Tornato sul posto scoprii con mio gran dispiacere che lei non era più dove l'avevo lasciata.
JACK HAI VISTO AMBER?” gridai rivolto al mio amico.
NO! L'HO PERSA DI VISTA POCO FA!” rispose lui, mentre reggeva in braccio entrambi i figli.
Sembrava di essere in mezzo ad un formicaio impazzito, tutti correvano in tutte le direzioni tentando di sfuggire inutilmente alla terra che tremava.
Ad un certo punto la folla si diradò e la vidi, riversa al suolo. Alle mie orecchie tutto tacque. Il frastuono era un lontano ricordo. Aprii la bocca per gridare, ma non udii nemmeno la mia voce tanto era il dolore. La donna che amavo era a terra e non sapevo se era ferita o peggio. Quando finalmente le fui accanto feci l'amara scoperta. Era morta, calpestata dalla folla. La presi a me. Ero talmente addolorato ed arrabbiato insieme che non riuscivo a piangere. Il cuore spezzato, le braccia strette su di lei, ancora calda, la mia bocca contratta in una smorfia indescrivibile, un ghigno terrificante che avrebbe fatto paura al diavolo stesso. Pochi secondi più tardi la terra smise di tremare, ma nonostante tutto io continuavo a fremere di dolore.

Ci vollero tre agenti per staccarmi dal corpo inerme di mia moglie. Il suo viso prima perfetto – piccolo naso in mezzo al viso, due occhi verde smeraldo e capelli come oro colato lungo la sagoma del suo viso – erano ora un grumo di sangue e lividi.
Cerca di calmarti, non sei il solo ad aver perso qualcuno!” disse Jack, rompendo il silenzio di quell'attimo.
Tu cosa ne sai? Magari tua moglie è sotto le macerie!” risposi sprezzante.
Mi tirò un ceffone. “GUARDATI INTORNO, PER LA MISERIA! C'E' APPENA STATO UN SECONDO TERREMOTO DEVASTANTE, NON SEI IL SOLO AD AVER PERSO QUALCUNO, MA SE ORA TI LASCI ANDARE AL DOLORE SARA' PEGGIO!” le sue labbra si inclinarono, volse un momento lo sguardo in direzione delle macerie di casa sua. Guardai amareggiato gli addetti che chiudevano il corpo di mia moglie in una sacca nera, come quella dei film. Ma prima che la zip si chiudesse del tutto, con uno sguardo freddo ma non morto Amber mi osservò.



Di Alex Govoni
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